In tema di molestie ex art. 660 c.p. realizzate mediante strumenti di comunicazione a distanza, assume rilevanza penale l’invio reiterato di messaggi telefonici tramite SMS o WhatsApp, mentre non integra il reato il ripetuto invio di messaggi di posta elettronica. Tale distinzione si fonda sulle diverse caratteristiche tecniche degli strumenti utilizzati: nel caso dei messaggi telefonici, il destinatario può sottrarsi alla comunicazione molesta solo disattivando completamente l’apparecchio, privandosi così della possibilità di comunicare con altri soggetti, e la funzione di blocco del mittente interviene solo dopo che l’azione perturbatrice si è già protratta nel tempo producendo i suoi effetti. Diversamente, nelle comunicazioni via email non si realizza alcuna intrusione forzata nella sfera di libertà del destinatario, in quanto la lettura del messaggio presuppone una volontaria attivazione della casella di posta da parte dello stesso. La pluralità di condotte moleste non costituisce reiterazione rilevante ex art. 81 comma 2 c.p., ma rappresenta l’elemento materiale costitutivo del reato di molestie, integrando quella petulanza che si sostanzia in un atteggiamento di arrogante invadenza e intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà. Le dichiarazioni della persona offesa, pur dovendo essere valutate con particolare rigore, possono da sole fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato, previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del racconto, non necessitando di riscontri esterni quando non sussistano elementi che inducano a dubitare della loro attendibilità.

Cassazione penale Sez. I sentenza n. 8231 del 27 febbraio 2025.

Recupero crediti: quando diventa stalking e quali sono le sanzioni

Il processo di recupero crediti, quando diventa troppo invasivo e insistente, può facilmente superare la soglia del lecito e trasformarsi in un reato.

Succede, ad esempio, quando una società di recupero “tempesta” letteralmente il debitore con un’incessante sequenza di telefonate. In questo caso, può configurarsi il reato di molestie, penalmente punibile con la detenzione fino a 6 mesi o con un’ammenda fino a 516 euro.

In situazioni più gravi, in cui il comportamento è ancora più insistente, arrivando addirittura alle minacce, può prefigurarsi il reato di stalking. Secondo la legge, infatti, chiunque minacci o molesti verbalmente in modo reiterato e prolungato una persona, può essere punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

In merito, la legge definisce come reato di stalking tutti quei comportamenti in grado di “provocare uno stato d’ansia o grave paura nella vittima, suscitando un fondato timore per l’incolumità propria, di un familiare stretto o di una persona legata da una relazione affettiva, o costringendola a modificare le proprie abitudini di vita”.

Inoltre, come per altre professioni, le agenzie di recupero crediti devono rispettare un codice di comportamento etico. In particolare, il personale iscritto nei registri di qualifica dell’Unione Nazionale Imprese a Tutela del Credito (Unirec) è vincolato al rispetto di un vero e proprio codice deontologico. Questo implica, ad esempio, l’obbligo di non esercitare pressioni sul debitore, per costringerlo al pagamento, o di evitare comportamenti vessatori e petulanti.

Telefonate eccessive? Per la Cassazione è reato di molestie

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato che il reato di molestie, previsto dall’articolo 660 del Codice Penale, può scattare anche quando il fine è lecito, come ad esempio nell’attività di recupero crediti.

La sentenza sottolinea che “il reato di molestie mediante telefono o altri mezzi, perpetrato per petulanza o altri motivi biasimevoli, si configura anche quando il fine è legalmente giustificato”.

Nel caso di specie, gli operatori della società di recupero crediti interessata dall’ordinanza effettuava fino a 6 chiamate al giorno, sia al debitore che ai suoi parenti e conviventi, utilizzando anche numeri diversi per evitare di essere riconosciuti.

Questo comportamento è stato considerato molesto, “poiché il ricevente dei messaggi è stato sottoposto non solo al disagio di ascoltare tali messaggi, ma anche alla percezione di essi, poiché entrambi i tipi di messaggi erano idonei a mettere a rischio la libertà e la tranquillità psichica del destinatario”.

Risulta evidente, quindi, che il recupero crediti deve essere svolto nel rispetto della legge e dei diritti delle persone coinvolte, evitando di superare i limiti che separano l’azione legittima da comportamenti persecutori o illegali. In conclusione, il creditore che sconfina nella sfera privata altrui, violandone la privacy o il riposo, può rispondere penalmente del suo comportamento.

Tags

Commenti disabilitati