La diffusione di immagini non autorizzate è un nuovo reato, soprattutto quando è associato al ricatto o alla vendetta, che avviene dopo la rottura di una relazione. Ne parliamo con l’esperta di diritto delle nuove tecnologie

La triste vicenda di Tiziana Cantone, morta suicida nel 2016, ha introdotto un nuovo concetto di cui probabilmente non conoscevamo l’esistenza. Revenge porn, vendicarsi di una relazione finita, attraverso la diffusione senza consenso di video o foto intime dell’ex fidanzata. Immagini scattate in un tempo in cui la relazione andava a gonfie vele e che malauguratamente sono ancora in possesso dell’ex. I sistemi di archiviazione di backup, inoltre, non aiutano di certo a proteggersi: tra iCloud, Dropbox e Drive c’è il rischio che le proprie immagini intime restino documentate per sempre. Anche dopo la rottura di una relazione.

A volte si ricatta “e basta” per costringere la vittima a vessazioni di ogni tipo, com’è accaduto di recente alla 16enne di Vasto stuprata dall’ex fidanzatino e da un amico di lui. Se ci si sottrae, si rischia di vedere le proprie foto intime in Rete. La vendetta assume, quindi, la forma della minaccia.

Altre volte, invece, quelle immagini diventano virali, rimbalzando negli smartphone di mezza Italia, fino a colpire chi – suo malgrado – ne è stata protagonista. La povera 31enne napoletana si è tolta la vita in seguito all’umiliazione di aver scoperto per caso su siti porno l’esistenza di alcuni video che aveva girato per gioco, ignara del potenziale rischio. Si era fidata, condividendo i suoi video intimi con conoscenti. Ma non ne avrebbe mai immaginato la divulgazione massiccia che l’avrebbe messa in ginocchio.

Per comprendere meglio la materia della diffusione di immagini non autorizzate, abbiamo intervistato Federica De Stefani, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie.

Cosa fare per proteggersi 

Si possono pubblicare in Rete le foto private altrui?

«No! La pubblicazione di un’immagine altrui può avvenire solo con il consenso della persona ritratta, salvo ipotesi particolari che però non sono oggetto del nostro quesito principale (cioè se diffondere foto private è reato ndr)».

Si può chiedere la rimozione delle foto private dai social?

«Il vero problema non è tanto la rimozione di un contenuto pubblicato sui social, quanto la sua condivisione. Rimuovere una foto, un commento, un testo o un video non è così semplice come si possa pensare: la difficoltà che si incontra è insita nel meccanismo attraverso il quale funziona la rete» spiega l’avvocato De Stefani.

«Quando condividiamo un contenuto, infatti, questo viene inviato in pochissimi secondi a vari server, diventando “cristallizzato”: in altri termini esce completamente dalla nostra disponibilità e dal nostro controllo».

Questo significa che non possiamo più modificare un contenuto condiviso online e nemmeno cancellarlo.

Come procedere?

«Per difendersi da un’eventuale diffusione delle proprie immagini in rete, si deve innanzitutto chiedere la cancellazione rivolgendosi all’autore della pubblicazione: qualora la richiesta non trovi riscontro da parte di chi ha condiviso la foto, si può ricorrrere all’autorità giudiziaria».

Cancellare o far cancellare le proprie foto basta a difendersi?

«In realtà non sempe: ci potrebbero essere backup, condivisioni, screenshoot che hanno reso impossibile la completa gestione del contenuto da parte di chi ha condiviso l’immagine» continua l’esperta.

Se da un lato è vero che possiamo cancellare ciò che postiamo sui social, dall’altro non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di una cancellazione “limitata” al solo luogo in cui il contenuto è stato pubblicato. Da qualche altra parte nel web, quel contenuto continuerà ad essere presente (e in certi casi anche visibile).

Cosa fare se una persona non cancella le nostre foto private?

Rivolgersi alla polizia: chi diffonde foto private intime senza consenso, nonostante la richiesta di cancellazione, rischia una condanna.

«La diffusione di immagini non autorizzate o che rechino pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona a norma dell’art. 10 del codice civile espone l’autore della pubblicazione oltre che all’obbligo di cessazione dell’abuso (e quindi, per esempio, la cancellazione) al risarcimento del danno» avvisa l’avvocato.

C’è la possibilità di un risarcimento, quindi?

«Sì! Qualora il contenuto possa essere considerato diffamatorio ci possono essere delle sanzioni penali che vanno da 6 mesi a 3 anni o multe non inferiori a 516 € (art. 595 terzo comma c.p)» precisa l’esperta di diritto della Rete.

Come difendersi dal Revenge porn

Si può risalire all’autore della divulgazione dei video privati?

Risalire all’autore della diffusione di un proprio video intimo diventato virale non è di certo facile. Data la natura dei video, è tuttavia intuibile chi sia stato a diffonderli: in teoria dovrebbero avervi avuto accesso solo un numero limitato di persone, se non solo chi lo ha girato.

La legge aiuta chi subisce ricatti in merito?

«Sì, la legge aiuta le vittime a perseguire legalmente gli autori della diffusione di foto e filmati intimi, qualora ci siano gli estremi per sporgere denuncia. Si può iniziare col chiedere un risarcimento all’autore della pubblicazione che è avvenuta senza consenso. Nel caso in cui non si sortisca alcun effetto, si può adire le vie legali».

Il web, i social e whatsapp sono pericolosi, allora?

«No, le nuove tecnologie sono degli strumenti meravigliosi, ma bisogna saperli utilizzare, conoscendo non solo le norme giuridiche che valgono online, ma anche le norme tecniche che regolano il loro funzionamento: in certi casi, si eviterebbero problemi di vario genere! È fondamentale ricordare che ciò che si cancella dal proprio pc o smartphone, in realtà, non si cancella mai completamente dall’etere».

Un suggerimento per difendersi, soprattutto in caso di rottura?

«Prestare molta attenzione a ciò che si posta e si condivide non solo sui social ma anche attraverso la messaggistica istantanea. Il momento del click è il punto di non ritorno, quindi ogni valutazione sull’opportunità e la liceità di quello che si sta per pubblicare deve essere fatto esattamente un attimo prima della condivisione stessa» conclude

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