• La Cassazione sezione 6 con la sentenza n. 17656 del 3 maggio 2024, è tornata ad occuparsi della configurabilità dei maltrattamenti in famiglia e della linea di confine, a dir il vero molto soggettiva nella fase di merito e non solo, tra la consumazione di episodici atti lesivi di diritti fondamentali della persona senza che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, in mancanza del quale i fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali dì una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona

La Suprema Corte nel richiamare alcuni principi fondamentali in materia, anche alla luce delle fonti sovranazionali (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77, detta Convenzione di Istanbul) e della giurisprudenza della Corte EDU (sentenze Talpis .c Italia del 2 marzo 2017, I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022; Landi c. Italia del 7 aprile 2022; M.S. c. Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi c. Italia del 16 luglio 2022) ha sottolineato che la fattispecie in esame presuppone l’abitualità della condotta e in caso di episodici atti lesivi se siano ugualmente stati idonei ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile per la persona offesa.

Inoltre, deve anche considerarsi che il reato è integrato, nell’ambito di una relazione affettiva, da reiterati comportamenti, anche solo minacciati, che, valutati complessivamente ed in modo non parcellizzato, siano volti a ledere, con violenze psicologiche ed umiliazioni, la dignità e l’identità della persona offesa, limitandone la sfera di libertà ed autodeterminazione (Sez. 6, n. 37978 del 3/7/2023, n.m.).

Ricordiamo che la Cassazione penale sezione 6 con la sentenza numero 822/2024 ricorda che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che non integra il delitto di maltrattamenti in famiglia la consumazione di episodici atti lesivi di diritti fondamentali della persona non inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall’imposizione ai soggetti passivi di un regime di vita oggettivamente vessatorio (Sez. 6, n. 45037 del 2/12/2010, Rv. 249036).

Ne consegue che deve escludersi la sussistenza del reato in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, essendo necessario che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, in mancanza del quale i fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali dì una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona (Sez. 6, n. 37019 del 27/5/2003, Rv. 226794).

Invero, deve premettersi che la nozione di reiterazione dei comportamenti maltrattanti non è di agevole soluzione, in quanto si fonda essenzialmente su una valutazione in fatto, scissa da parametri di giudizio oggettivo.

In buona sostanza, il mero raffronto tra il dato numerico degli episodi in cui si estrinseca l’aggressività in famiglia e l’arco temporale di manifestazione di tali condotte rappresenta un mero dato empirico, trovando applicazione la massima di esperienza secondo cui quanto più gli episodi maltrattanti sono numerosi e ravvicinati nel tempo, tanto maggiore sarà l’incidenza sulla serenità dei conviventi.

Il dato relativo alla frequenza delle singole condotte, tuttavia, non deve essere valutato nella sua astrattezza, dovendosi valutare in concreto se gli episodi, per quanto intervallati da periodi di normale convivenza, siano ugualmente stati idonei ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

In buona sostanza, per stabilire la sussistenza del reato di maltrattamenti non occorre limitarsi a valutare il dato asettico costituito dal numero degli episodi lesivi e la loro frequenza, dovendosi piuttosto valutare tale condotta in relazione all’effetto che produce sulla vittima del reato.

Ne consegue che, pur in presenza di episodi di percosse e minacce intervallati da un periodo temporale apprezzabile e collocati in un arco complessivo di mesi, non può ritenersi per ciò solo non configurabile il reato di maltrattamenti, posto che i singoli episodi ben possono costituire i momenti in cui maggiore è l’offensività della condotta, i cui effetti si continuano a produrre anche quanto l’aggressione fisica o le minacce non sono in atto.

A ben vedere, la caratteristica del reato di maltrattamenti in famiglia risiede proprio nel condizionamento che singole condotte determinano sulla quotidianità dei rapporti, rendendoli sostanzialmente improntati ad una abituale condizione di vessatorietà di uno o più membri della famiglia rispetto all’autore del reato.

Nel momento in cui si ritiene che la condotta complessivamente posta in essere dall’imputato era idonea a generare un clima vessatoria e di timore nell’ambito del nucleo familiare, protrattosi per un periodo temporale apprezzabile e caratterizzato da episodi di particolare violenza ed aggressività, deve ritenersi la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice.

A tal riguardo, del resto, la Cassazione ha recentemente affermato che la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l’intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuativo e abituale, ad una serie di sofferenze, fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria (Sez. 6, n. 43307 del 20/9/2023, n.m.; Sez. 3, n.1508 del 16/10/2018, dep. 2019, Rv. 274341-02).





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