Sempre più spesso per praticità nella comunicazione, tutti noi comunichiamo con questa applicazione .

E’ opportuno fare attenzione alla divulgazione della messaggistica diffusa in tale contesto tra i partecipanti al gruppo .

Hai costituito un gruppo chiuso su WhatsApp riunendo alcuni amici. Come sempre succede in questi casi, dall’uso si passa facilmente all’abuso. Inizialmente nato con lo scopo di tenervi in contatto, ora il gruppo è diventato ripostiglio di barzellette, video e immagini divertenti, auguri per le feste e qualche foto delle vacanze per fare un po’ di invidia. Un giorno decidi di confidare un pettegolezzo particolarmente delicato sul conto di un’altra persona. Lo fai con una certa leggerezza contando sul legame che vi unisce. Non sai però che uno dei componenti del gruppo è legato a questa persona da un’amicizia ancora più forte. Così fa uno screenshot e glielo invia. Lo vieni a sapere dal diretto interessato che ti contatta in privato e ti minaccia di denunciarti per aver divulgato informazioni sensibili coperti dalla privacy. Dal canto tuo pensi di rivalerti contro chi ha fatto la spia: così gli preannunci che, se sarai querelato, agirai allo stesso modo nei suoi confronti. Lo puoi fare? Cosa si rischia a divulgare un messaggio di un gruppo WhatsApp? La questione è stata affrontata incidentalmente oggi dalla Cassazione [1]. La sentenza è molto interessante perché affronta un tema dei nostri giorni: informazioni e dati contenuti nelle discussioni chiuse di una chat sono coperti da privacy? Cosa rischia chi li divulga all’esterno?

La chat privata è come una lettera chiusa

La tutela della segretezza presuppone, oltre che la determinatezza del destinatario e l’intento del mittente di escludere terzi dalla conoscibilità del messaggio, l’uso di uno strumento che denoti il carattere di segretezza e riservatezza della comunicazione. Tale è la chat o il gruppo chiuso su WhatsApp.

Dunque la tutela della riservatezza si estende anche alle email scambiate tramite mailing list riservate agli aderenti a un determinato gruppo di persone, ai newsgroup o alle chat private su WhatsApp che hanno accesso condizionato al possesso di una password.

I messaggi di Whatsapp, se inoltrati al numero chiuso di persone, come appunto le chat private, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.

Pertanto chi rivela a terzi il contenuto della chat o del gruppo WhatsApp commette un reato, quello di violazione del segreto della corrispondenza, comportamento che è appunto punito penalmente dal codice 

La diffamazione lede la reputazione altrui, cioè l’opinione che la società ha di un’altra persona da un punto di vista etico e sociale. Pertanto, la reputazione, in quanto legata al contesto sociale di riferimento, presuppone e richiede la comunicazione con più persone, cioè la presa di contatto dell’autore con soggetti diversi dalla vittima per renderli edotti e partecipi dei fatti lesivi della reputazione di quest’ultimo. Ne consegue che se la comunicazione con più persone avviene in un ambito privato, cioè all’interno di una cerchia di persone, non solo non si parla più di diffamazione ma è necessario tutelare la libertà e segretezza della comunicazione stessa.

La chat in un gruppo chiuso di Facebook è equiparata alla corrispondenza privata che, in quanto tale, non può essere divulgata all’esterno. È la Costituzione del resto [2] a definire inviolabili la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. Comunicazione che deve riferirsi necessariamente anche a quella telematica visto che all’epoca dei padri costituenti non esistevano internet e le chat.

«La segretezza si deve intendere come espressione della più ampia libertà di comunicare liberamente con chiunque». Essa indica il diritto di escludere dalla comunicazione soggetti diversi dai destinatari selezionati dal mittente. Mittente che pertanto può pretendere che gli estranei non vengano a conoscenza del contenuto delle sue dichiarazioni. La Corte costituzionale [3] ha anche detto che il diritto alla corrispondenza si deve ritenere esteso non solo alla carta ma anche alle altre forme di comunicazione, incluse anche quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia.

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